La morte di Priamo - Parafrasi T10
Lamenti e un’ agitazione sommessa echeggiano dentro la reggia; dei pianti femminili risuonano nelle grandi stanze lontane, il trambusto arriva fino alle stelle dorate. Atterrite, le donne vagano per le grandi sale, abbracciano e baciano gli stipiti delle porte.
Pirro avanza con l’ aggressività del padre, non gli resistono né sbarre né sentinelle; i ripetuti colpi dell’ ariete fanno ondeggiare la porta, i battenti si separano dai cardini schiantati.
I Greci irrompono con violenza aprendosi la strada e una volta entrati si assembrano dappertutto, uccidendo quelli che trovano.
Nemmeno un fiume schiumeggiante che straripa e travolge le rocce inghiottendole in un gorgo,traboccando nei campi con forza, trascinando greggi di animali con le stalle nei campi può euguagliare tale impeto.
Vidi Neottolemo, desideroso di far strage e all’ ingresso gli Atridi, Ecuba, le cento nuore e Priamo macchiare con il suo sangue sangue gli altari da lui consacrati. Crollarono le cinquanta stanze matrimonali, speranza nei nipoti, che erano colme di decorazioni conquistate e di oggetti insigni.
I luoghi risparmiati dall’ incendio furono occupati dai Greci.
Il destino di Priamo forse vorrai conoscerlo.
Quando vide il disastro della città conquistata e i portoni della reggia spezzati e il nemico entrato nella casa, Priamo, pur vecchio, si caricò le armi inutilizzate per molto tempo sulle spalle tremanti e stringendo la spada inutile si avviò alla morte tra la folla dei nemici. Un grande altare stava dentro la reggia, sotto il cielo, e una vecchissima pianta di alloro, che si protendeva su di esso, ombreggiava i Penati.
Ecuba e le figlie erano arrivate precipitosamente e inutilmente intorno all’ altare, stringendosi tra loro e abbracciando le statue degli dei, come colombe dentro una oscura tempesta di vento.
Quando Ecuba vide Priamo con indosso le armi dei più giovani disse
“O sposo infelice, quale pensiero funereo ti ha spinto a cingere queste armi? Dove crede di andare? La situazione non richiede quest’aiuto e questi difensori, neanche se adesso ci fosse il mio Ettore. Allora rifugiati qui, questo altare ci proteggerà tutti, o morirai con noi.”
Dopo aver detto ciò, prese il vecchio con sé e lo accompagnò al sacro ingresso.
Ed ecco che Polite, uno dei figli di Priamo, scampato alla strage fatta da Pirro, fugge tra le frecce e fra i nemici, nei lunghi portici percorrendo ferito gli atrii deserti; Pirro lo insegue furiosamente, con colpi minacciosi e prendendolo per mano lo attacca con la lancia.
Giunto infine dinnanzi ai genitori, cadde e perse la vita, insieme a molto sangue. Priamo, allora, nonostante fosse già vicino alla morte, non si contenne e, senza risparmio di voce e di rabbia, disse:
Se nel cielo c’è pieta e attenzione per questo, ripagheranno tali atti, e ti riconoscerannno le responsabilità dovute per tali crimini e bravate , che mi hai obbligato ad osservare la morte di mio figlio, martoriando la faccia del padre. Non tuo padre, Achille, di cui ti vanti di essere erede, sì comportò in tal modo con l’ avversario Priamo, ma rispettò i diritti e la fede del re, restitùi il corpo senza vita di Ettore alla tomba, mi rimandò nella mia terra.
Così disse l’ anziano re, lanciò senza slancio l’ asta inoffensiva, che immediatamente balzò via dal bronzeo scudo, oscillando inutilmente dalla sommità dello scudo.
Pirro rispose lui
Quindi diventerai il messaggero di quello che hai affermato per Achille, ricordati di raccontargli le mie gesta brutali e che Neottolemo è degenere. Ora muori.
Parlando, trascina l’ agghiacciato Priamo, scivola nel bagno di sangue di Polite, gli afferra la chioma con la mano sinistra, con la destra alza la spada balenante e gliela conficca tutta nel corpo.
In tal modo la vita di Priamo giunge alla fine, questa morte funesta lo rapì mentre assisteva alla caduta di Troia sotto le fiamme , colui, che fu orgoglioso re di molte genti e territori orientali.
Sulla baia un grande busto è adagiato, con la testa staccata dal corpo, un cadavere anonimo.
Tornai in me, un ribrezzo atroce mi circondò. Mi ricordai dell’ amato padre, mentre scorsi l’ anziano re, della stessa età, morto, per l’ attacco spietato; immaginai mia moglie vedova, la dimora devastata, la perdita di mio figlio. Voltandomi e guardando intorno, vidi che tutti erano scappati, senza forze, abbandonati i cadaveri per terra con fragore, oppure lasciati in pasto al fuoco.
## Testo originale
L’interno del palazzo risuona di gemiti e d’un misero tumulto; le ampie stanze remote ululano di pianti femminili; il clamore ferisce le auree stelle Le donne atterrite errano per le vaste sale, tengono abbracciati gli stipiti e v’imprimono baci. Pirro incalza con la violenza del padre, né le sbarre né le sentinelle riescono a resistere; la porta vacilla ai fitti colpi d’ariete, e i battenti crollano schiantati dai cardini. La violenza apre la via; irrompono i Danai, ed entrati uccidono i primi, e riempiono ogni luogo di soldati. Non così vastamente, rotti gli argini, un fiume schiumante straripa e travolge nel gorgo i massi che gli si oppongono, in piena trabocca furente nei campi e trascina per tutta la pianura le stalle e gli armenti. Vidi Neottolemo furente di strage, e sulla soglia i due Atridi, e Ecuba e le cento nuore e Priamo tra gli altari deturpare col sangue i fuochi da lui consacrati. Le cinquanta stanze nuziali, tanta speranza di nipoti, stipiti di barbarico oro e superbi di trofei, crollarono; i Danai occupano i luoghi che il fuoco risparmia. Forse vorrai conoscere anche il destino di Priamo. Come vide il disastro della città conquistata e le soglie della reggia infrante e il nemico nelle stanze, invano, carico d’anni, circonda le spalle tremanti con le armi a lungo desuete, e cinge l’inutile ferro, e muove deciso a morire nel folto dei nemici. In mezzo al palazzo, sotto l’aperta volta del cielo, v’era un altare imponente, e un vetusto alloro il quale si protendeva sull’ara e avvolgeva d’ombra i Penati Ecuba e le figlie invano intorno agli altari, giunte precipitose come colombe nella fosca bufera, sedevano strette fra loro e abbracciate alle statue degli dei. Come vide Priamo, vestito delle armi dei giovani, >Quale funesto pensiero, infelicissimo sposo, t’indusse a cingerti di queste armi e dove ti precipiti?
disse;
il momento non richiede un simile aiuto, né tali difensori, neanche se ora ci fosse il mio Ettore. Alfine rifùgiati qui; quest’ara proteggerà tutti, o morirai con noi.
Avendo parlato così, trasse a sé il vegliardo e lo pose sul sacro soglio. Ed ecco, scampato alla strage di Pirro, Polite, uno dei figli di Priamo, tra i dardi, tra i nemici fugge per i lunghi portici, e percorre gli atrii deserti, ferlto: Impetuoso lo insegue Pirro con colpi minacciosi e già lo afferra con la mano e lo preme con l’asta: come infine giunse davanti allo sguardo dei genitori, cadde, ed effuse con molto sángue la vita. Allora Priamo, sebbene già nella stretta della morte, tuttavia non si contenne, e non risparmiò la voce e l’ira:
Per tale delitto e prodezza, esclama, gli dei, se v’è nel cielo pietà che di questo si curi, ripaghino degne grazie e rendano i premi dovuti a te, che m’hai costretto ad assistere alla morte del figlio, profanando con l’eccidio il volto paterno. Ma non quell’Achille, del quale ti menti progenie, si comportò così con il nemico Priamo; ma ebbe riguardo ai diritti e alla fede del supplice, e rese il corpo esangue di Ettore al sepolcro, e me rinviò nel mio regno.
Così parlò il vecchio e vibrò priva di slancio l’innocua lancia che rimbalzò dal fioco bronzo e pendette inutile dal sommo della borchia dello scudo. A lui Pirro:
Dunque riferirai questo ed andrai messaggero al genitore Pelìde; ricòrdati di narrargli le mie atrocità, e che Neottolemo traligna. Adesso muori.
E dicendo così lo trascina tremante agli altari, e sdrucciolante nel molto sangue del figlio, gli afferra la chioma con la sinistra, con la destra solleva la spada corrusca e gliela immerge tutta nel fianco. Così si concluse il destino di Priamo, questa morte fatale lo rapì mentre vedeva Troia in fiamme e Pergamo crollata, egli un tempo superbo sovrano di tanti popoli e terre d’Asia. Giace grande sul lido un tronco, il capo spiccato dal busto, e un corpo senza nome. Allora per la prima volta un crudele orrore m’avvinse. Raggelai; mi sovvenne l’immagine del caro padre, appena vidi il re a lui coetaneo esalare la vita per il colpo spietato; mi figurai la vedova Creusa, la casa distrutta, la morte del piccolo Iulo. Mi volgo ed esamino quanti mi restino intorno. M’avevano abbandonato tutti, stremati, e lasciati cadere i corpi in terra di schianto, o gettatili disperati nel fuoco.
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